Favola per mamma adottiva

C’era una volta un uomo che camminava lentamente sotto un cielo pieno di stelle su per una strada di montagna.

Era il mese di agosto e l’aria era frizzantina; era bellissimo passeggiare per le strade del borgo.

Aveva lasciato a casa il resto della sua famiglia che lo aveva seguito su in montagna e in quel periodo di vacanza per tutti. Dalle finestre delle altre casette si intravedeva una luce calda e ovattata. Si intuivano appena i vialetti dei giardini.

Era pieno di nostalgia perché in quel borgo ci veniva da bambino, con la mamma e il papà.

Quando arrivavano, lui, Piero, scendeva precipitosamente dalla macchina alla ricerca della bicicletta vecchia e sgangherata che aveva deciso di lasciare lassù, solo per il periodo delle vacanze.

Quante cadute, quanti scivoloni e quante lacrime ma anche quanti urli di felicità ogni qualvolta riusciva a vincere del filo del traguardo gli altri amici con cui ci si sfidava in quelle pazze corse nel vento.

E poi, trovata la bicicletta, mentre mamma e papà scaricavano i bagagli dalla macchina e aprivano la casa, Piero cercava nella buca, scavata ai piedi del pino, il bigliettino delle spie; già le spie…

Con gli amici delle vacanze avevano formato una squadra di spie: tutti maschi contro la figlia del custode, che era una pettegolona accusatrice.

Giochi di bimbi…

Cominciava a fare freddo e Piero si sistemò il colletto della giacca. Mentre si sistemava, i suoi occhi fissarono il cielo e videro due stelle, vicine tra loro, lontanissime da lui. Una più grande e l’altra più piccola.

Una, la più grande, era la mamma; era volata via da alcuni anni e brillava ogni sera sulla testa di Piero che la guardava con affetto e con nostalgia. Ricordava la voce, sentiva le sue braccia che lo accoglievano e lo rassicuravano, il calore del lettone quando erano insieme.

Ma l’altra, che era sempre accanto alla stella più grande, chi poteva essere?

“Piero,

è la stella piccola che ti parla. Ascoltami. Sono quassù, vicino alla stella grande che è la tua mamma.

Anch’io, però, sono la tua mamma. Non ti confondere e non ti spaventare. Prima di tutto sappi che ti voglio bene quanto la stella grande. Quando tu sei nato da me, io non ti potevo tenere. Ti vidi solo appena nato. Mai più. Ti vedo da quassù, adesso che sei un uomo. Allora, appena nato, pensai che era meglio per te che tu avessi una casa, la possibilità di studiare, di vestirti, di curarti quando ti saresti ammalato. Di avere una vita normale. Ora che sei un uomo adulto tu sai cosa vuol dire avere una vita normale, lontana dagli stenti. Arrivò così nella tua vita un’altra mamma che ti ha fatto crescere così come avrei voluto farlo io. Adesso sia io che lei siamo quassù e ti guardiamo con lo stesso affetto. Coraggio, hai due angeli quassù!”

Piero, stordito e infreddolito, non credeva a quanto aveva sentito. Come poteva pensare di avere avuto due mamme?

La voce aveva detto: “Coraggio!” ma il suo cuore era sprofondato nella confusione e nell’incertezza.

A chi doveva pensare quando avrebbe pronunciato la parola “mamma”?

Nel buio non si accorse di essere quasi arrivato ad un palmo di naso dal pino. Si accovacciò e si mise a cercare la buca delle spie.

Un biglietto emerse, rovinato dall’umido; una scrittura che ben conosceva, quella della mamma con cui era cresciuto, diceva: “Ti aspetto per la merenda. Baci. Mamma.”

Il cuore rallentò la corsa e l’incertezza finì.

Piero guardava adesso più sereno il cielo.