Scorzette d'arancia

LE FATE BENDATE

C’era una volta un bambino.
Viveva in un paese dove c’era un gran castello.
La leggenda diceva che era il castello delle fate bendate.
Doveva essere magnifico perché tutti ne parlavano con entusiasmo. Torri altissime, smerli ricamati nella pietra, saloni ampi dove era possibile ballare con ampie danze  musiche bellissime. Il nostro piccolino era smarrito; non avrebbe mai potuto vedere nulla di tutto ciò perché era cieco.
L’unica cosa che lo divertiva era quando due suoi amici, un po’ più grandi di lui, lo afferravano dalle mani e lo facevano saltare per aria.
“Un, due e tre! Vai” e lo spedivano in alto; ogni passeggiata finiva in più voli e il piccolino, che tutti chiamavano “Mollica”, perché assomigliava ad una mollichina di pane, si faceva grandi risate dimenticando tutti i suoi dispiaceri, anche quello che lo indispettiva di più; era proprio arrabbiato per via delle sue calze:  aveva un paio di calze che prediligeva, gli piacevano perché erano ruvide e le sentiva belle grosse sotto le dita, una era più lunga e l’altra più corta; a Mollica non interessava proprio nulla ma  gli altri ragazzi del paese ridevano a crepapelle quando lo vedevano: “Una era più lunga e l’altra più corta. Non sa nemmeno vestirsi.”
Mollica, adagio adagio, si ritraeva in disparte; un giorno, le fate, che abitavano nel castello, decisero di fare felice il piccolino e fargli scoprire il maniero nel modo più giusto per lui.
Andarono fin nell’angolo dove Mollica si era rifugiato dopo l’ennesima offesa ricevuta dai grandicelli, lo presero per mano e lo fecero volare, sospeso per aria, fin davanti la porta del castello.
Voli alti, sempre più alti, ancora più alti e ogni volta che Mollica saltava rideva; le fate gli dissero che il castello era una cosa alta e magnifica come il suo volo più bello.
Di corsa, mentre il piccino saltava tra le braccia di due di loro, le altre corsero ad aprire tutti i vasi dove si conservavano i cibi e i profumi più preziosi che il re e la sua regina prediligevano; poi misero il bambino su un cavallino alato e lo fecero trasportare da vaso in vaso; Mollica era estasiato; non aveva mai sentito profumi così belli. Ad ogni folata si riempiva il suo visino di stupore.
Per fargli conoscere la morbidezza delle lenzuola e delle coperte reali lo misero anche nel letto del re; Mollica non riusciva a raggiungere il letto perché era altissimo ma le fate, con un salto, lo fecero piovere dall’alto del baldacchino fin sulle coltri. L’impatto fu morbidissimo e una fata per la gioia sprimacciò tanto forte un cuscino di piume che, queste volate in aria, ricaddero, come neve, sul piccino estasiato.
Le fate decisero che Mollica doveva subito entrare nelle stanze della musica.  Erano stanze magnifiche le cui porte erano state sprangate, però, da un incantesimo malvagio; alcune streghe avevano deciso che per sempre quelle porte sarebbero rimaste chiuse; anche per gli stessi reali; solo un bambino cieco avrebbe potuto rompere l’incantesimo maledetto  perché il suo udito finissimo avrebbe liberato le note dalla stregoneria nella quale erano state tutte chiuse.
Ma come fare entrare Mollica?
Mollica fu subito trasformato in un bimbo tanto piccolo che poteva passare dal buco della serratura. Le fate sfilarono tutte le chiavi, i chiavistelli con cui le porte erano state serrate e Mollica, come la coda di una stella, cominciò a infilarsi di stanza in stanza attraverso i buchi delle porte. Una musica bellissima veniva via da ogni angolo e, nota dopo nota, la musica arrivò fino al borgo dove abitava Mollica. Tutti capirono che qualcosa di straordinario stava avvenendo. Si misero in viaggio verso il castello ma prima che arrivassero  successe una cosa straordinaria: le fate, bendate, andavano di stanza in stanza per catturare anch’esse le note finora prigioniere. Se le bende cadevano, le note ritornavano a nascondersi. La musica era bella solo se la si sentiva ad occhi chiusi. Così tutte  finirono con il decidere che avrebbero danzato per sempre bendate sul castello liberato ormai da ogni incantesimo;  grazie a Mollica la musica era la più dolce e armoniosa che  i viandanti, che passavano di là,  avessero mai udito.